Un lavoro che piace e dà soddisfazione è considerato uno dei principali fattori di “felicità” nella vita di una persona. Ma nell’ultimo decennio si verificano sempre più casi di lavoratori che per fare bene il loro lavoro, per poter crescere professionalmente o anche solo per garantirsi un lavoro adatto alle proprie inclinazioni, sono chiamati a dedicare al lavoro moltissimo del loro tempo, oltre l’orario canonico e molto al di fuori delle richieste contrattuali esplicite.
Così si creano dei veri e propri “circoli viziosi” in cui le persone non riescono a trovare “abbastanza tempo” per occuparsi come vorrebbero del lavoro e della vita privata, situazione che si fa ancor più pressante quando si ha una famiglia e dei figli. Ciò che si prova a livello individuale è spesso un costante senso di colpa ora verso la famiglia, il compagno, i figli che si vedono privati della “presenza fisica”, ora verso il lavoro, rispetto al quale ci si sente non all’altezza delle richieste e impossibilitati a garantire la piena disponibilità.
Questo tipo di stato d’animo è per esempio quello che vivono le donne-mamme-lavoratrici, che si vedono costrette ad una continua rinuncia, sottoposte a ritmi di vita massacranti, a una organizzazione del tempo minuziosa e “a incastri”: a volte questa situazione produce un senso di svalutazione di sè, una fatica a comprendere ciò che si vuole davvero, a costruire un proprio progetto personale che tenga conto dei doveri e delle responsabilità ma che sia anche, allo stesso tempo, generativo e “piacevole” da vivere.
In questi casi un counselling o una psicoterapia breve possono costituire un’occasione per rimettere sé e i propri bisogni/desideri al centro della propria vita, evitando così di farsi assorbire esclusivamente dai “doveri” e dalla richieste degli altri.