Andare in pensione può essere vissuto come una rinascita. Ma non tutti riescono subito ad assaporare il congedo dal lavoro. Soprattutto se il lavoro ha rappresentato una parte consistente dell’esistenza, “vivere senza” può comportare una perdita di autostima: “Che ruolo ho ormai? Che farò?”.
Stati d’animo come questi possono degenerare in una tristezza e in una melanconia diffuse legate al sentirsi ormai esclusi dal mondo produttivo, e, di conseguenza, “inutili” e “fannulloni”.
Bisogna tenere presente che nel nostro stile di vita di tipo occidentale, il lavoro riveste un ruolo essenziale, l’individuo attraverso di esso si eleva a stati sociali superiori, e può avere così redditi e tenori di vita sempre maggiori.
Inoltre, purtroppo, si manifesta molto spesso nell’uomo moderno l’incapacità di vivere serenamente l’ozio e l’inattività, come se fosse un “dovere” sentito quello di dimostrare a sé stessi e agli altri di fare qualcosa, che non ci si può fermare, che avere “tante cose da fare” è bello e rende in qualche modo delle persone “migliori” o “di successo”.
E’ proprio dai processi di comunicazione che probabilmente si deve cominciare a lavorare per aiutare i pensionati, ma anche gli attuali lavoratori, a vivere più serenamente tutti i periodi di transizione in cui ognuno può crescere, compreso quello particolarmente critico della pensione.
Ulteriore fattore problematico è il fatto che con il pensionamento si devono riassestare gli equilibri famigliari, si è più presenti in casa, e spesso questo cambiamento richiede una modifica negli equilibri di coppia: possono allora sorgere conflitti che implicano una modifica dei ruoli.
In alcuni casi poi la pensione è stata una scelta forzata dovuta a cause di forza maggiore; quest’ultima interpretazione della cessazione della vita lavorativa è forse la più negativa, perché si vive il pensionamento come qualcosa di ingiusto, come una imposizione ed una esclusione dal mondo produttivo che arrivano “troppo presto” rispetto ad una percezione di sé come di persone ancora pienamente “attive”; questa condizione può generare rabbia, frustrazione e depressioni.
Attraverso un intervento clinico psicologico è possibile aiutare la persona a vivere il pensionamento come un primo momento transitorio in cui assume un ruolo di primaria importanza la memoria, cioè il resoconto della propria vita, e si possa allora rielaborare il percorso che si è fatto fino a quel momento: in altre parole fare un rendiconto del percorso effettuato per continuare a mantenere quell’autostima o addirittura potenziarla sulla base già esistente.
L’intervento psicologico in questi casi ha l’obiettivo di ricostruire e mantenere viva una nuova progettualità per il proprio futuro, costruendo possibilità alternative al lavoro ma comunque soddisfacenti e “vive”.